venerdì 27 gennaio 2012

Su Luigi Crocenzi

Ed eccomi arrivata alla fine del percorso. O almeno, del mio diario di bordo nato su stimolo di Giovanni Marrozzini e del suo progetto Itaca, anch'esso giunto al rush finale.
Tutto quello che seguirà dopo l'invio dei file per la selezione prevista dal Fotoclub (che ha sede a Bibbiena, in Toscana), sarà inquadrato in un'altra maniera che per adesso non mi è ancora del tutto chiara.
So di esserci arrivata tardi, sempre che si possa giudicare con questo avverbio il fatto di aver scelto di studiare, frequentare la scuola di giornalismo e tutto quello che è venuto dopo. So anche che quando si lavora in totale libertà, ci si sente bene (benissimo), ma che normalmente non è possibile farlo.
E tuttavia, una cosa è certa: voglio continuare a fotografare e a scrivere. Sono le due attività in cui mi riconosco di più, indipendentemente dall'utilizzo pratico che ne potrei eventualmente ricavare.
Fatta questa premessa (e promessa!), dedico questo post a Luigi Crocenzi, involontario spirito-guida delle mie Minime Storie, concepite, forse, già dal primo giorno in cui ho messo gli occhi sul paesaggio che osservo dalle finestre di casa mia. O sarebbe meglio dire, di quella che un tempo era la casa di questo importante protagonista della fotografia italiana del Novecento.
Crocenzi è passato alla storia più per l'archivio di oltre tremila foto, oggi ospitato a Spilimbergo. Ma era anch'egli un grande fotografo, come testimoniano i suoi lavori per il Politecnico, ai tempi del suo sodalizio con Elio Vittorini. Non solo. Crocenzi è stato un fine intellettuale, dotato di una grande penna.
Quando ho letto i suoi testi del foto-reportage "Occhio su Milano", mi sono sinceramente emozionata.
Ancora di più ho sentito quanto "fosse scritto" che dovessi realizzare le mie prime venti Minime Storie (quante sono quelle che parteciperanno alla selezione nazionale) quando ho scoperto ulteriori, stranissime, coincidenze che mi legano al vero padrone di casa mia (non me ne vogliano gli eredi: ma nell'atrio e per le scale di marmo del bellissimo palazzo in cui vivo, aleggia ancora l'anima di "Gigino", come era chiamato familiarmente). 
Anche Crocenzi ha lasciato Milano abbastanza presto, benché abbia continuato a fare spola tra lì e Fermo per molti anni ancora. Con le dovute differenze, anch'io continuo a tornare spesso nella capitale del Nord, cui mi lega ancora un lavoro nonché le solide (ebbene sì, lo dichiaro apertamente) basi della mia formazione giornalistica.
Nei suoi periodi su al Nord, non so bene in quali anni, Crocenzi ha vissuto in via General Govone, come documentato da uno scritto ospitato in un bel catalogo che gli è stato dedicato dal Centro di ricerca e archiviazione della fotografia (in sigla, Craf).
In quella strada, ho passato moltissime giornate e anche varie nottate: vi abita una coppia di miei carissimi amici, in un certo senso i miei "genitori" (solo morali!) negli anni della mia permanenza milanese.
Uno dei foto-racconti di Crocenzi è dedicato alla processione, più in generale alla religiosità popolare. Con una sovrapposizione tra due scatti catturati (con la mia vecchia Pentax P30N) durante la processione del Venerdì Santo a Chieti, la mia città natale, ho vinto il mini-concorso interno al circolo fotografico che ho frequentato al liceo. Mi ricordo persino come l'avevo chiamato: "Miserere mei deum", riprendendo un verso del coro maschile accompagnato da violini e fiati, che scorta il cammino del Cristo Morto per i vicoli del centro fino al ritorno in duomo.
Solo domenica scorsa, uscendo su via Mazzini con mia madre, venuta a trovarmi con un mucchio di derrate, come si conviene a un'alacre famiglia del Sud, ho assistito a una mini processione in onore della Madonna del Pianto e negli scatti che ho impresso sulla mia Nikon, ho visto sguardi tragici, antichi, espressione di una devozione rassegnata, la stessa che aveva notato Crocenzi molti anni prima di me e che da sempre ossessiona la mia formazione.
Da bambina, quando vedevo gli incappucciati, piangevo di paura. Eppure, quella processione ancestrale mi affascina ancora adesso e forse adesso, dopo aver conosciuto molto da vicino il lavoro dell'illustre fermano, comincio a capirne il perché.
In definitiva, per farla breve, sono nata "vintage" e non lo sapevo. Mi ci ha fatto riflettere anche un mio carissimo amico, bravo (e silenzioso) fotografo.
Nel mio modo di guardare il mondo, di certo a colori, c'è una nostalgia per qualcosa che non c'è già più. Da sempre. E, forse, per sempre. Benché non possa essere certa che, adesso che ho messo per bene a fuoco che cosa colpisce i miei occhi, non finisca per cambiare prospettiva.
Staremo a vedere.
Vi voglio lasciare con un ricordo di Luigi Crocenzi scritto da Renzo Renzi, riprodotto con la sua grafia sul catalogo già citato:
"Luigi Crocenzi l'ho incontrato quando nacque alla notorietà; l'ho trovato quando è morto.
Ci conoscemmo al Festival di Venezia, ma lo seguivo già sulle pagine de "Il Politecnico" di Vittorini.
Anni dopo lo ritrovai già rinserrato a Fermo, quando mi regalò, si può dire, alcune stanze del suo bel palazzo sulla via Mazzini, che tuttora frequento. Appartato, forse perché stanco di successi pionieristici (o prematuramente appagato), Luigi mostrava ora la sua anima profondamente romantica, dopo quella neorealistica. Lasciava che nel palazzo tutto cadesse, avvolto dai rampicanti sopra le rovine. 
Meglio, molto meglio delle successive cementificazioni. E intanto faceva regali magnifici agli amici, alle femmine, dissipando le sue fortune. Poi, una sera, eravamo in casa di Romano Folicaldi (queste vicende appartengono alla storia della fotografia italiana, come si vede), Luigi sentì un piccolo dolore nel petto. Bastava che si mettesse a letto, dopo avere bevuto una limonata calda.
Però, il mattino dopo, non rispondeva alle telefonate, non apriva la porta, lui che viveva ormai solo. Cercammo una chiave, io corsi per le stanze e lo trovai, ahimè!, ancora nel suo letto, le coperte rimboccate, gli occhi chiusi, sereno. Non si era mosso. Il bicchiere della limonata stava sul comodino. Tanto discreto com'era, non aveva turbato nemmeno il proprio ultimo giaciglio.
Poi si vide un armadio ricolmo di macchine fotografiche fino agli ultimi modelli, e di obbiettivi i più sofisticati. Erano i suoi occhi, conservati come in un diligente museo della tecnica. Luigi, così, aveva continuato, per un lungo periodo, ad immaginarsi di guardare le cose del mondo con occhi innumerevoli, tanti occhi e altrettante lunghezze focali".

Di seguito alcuni scatti fatti nella mia cucina, una volta sua, come il resto del palazzo (abitava nel piano sottostante al mio, ma immagino che quassù ci sarà salito: essendo il punto più alto dello stabile, è il luogo ideale per ammirare l'incredibile distesa di colline dal mare alle montagne):





Nell'ultima si intravede un pezzetto del mio piede e la tovaglia di plastica, appartenuta a mia nonna, come molti mobili oggi ospitati in questo bellissimo palazzo.
A quest'ultimo proposito, date un'occhiata anche alla foto sotto:


E' l'androne del palazzo Crocenzi, come appare nelle tarde mattinate di questo tiepido inverno, quando il sole lo bacia con delicatezza.
Chissà quante volte l'avrà fotografato il padrone di casa e quante gli altri fotografi che sono entrati qui dentro.
Finisco con un grazie, generico. A che cosa? Al caso, agli incontri e, sì, al futuro. Qualunque esso sia.

Il destino incerto dei gatti del duomo e la mia conoscenza di Teresa Curtarello Renzi

Stamattina ho finito di sistemare il portfolio, cambiando la disposizione di qualche foto, sostituendone due e sistemando qualche titolo e testo.
Non so ancora se l'ordine che gli ho dato io troverà l'ok di Silvano Bicocchi, ma qualcosa mi dice che arriverà. Mi resta giusto il dubbio sulla foto alternativa dei gatti della Casina delle Rose, decisamente meno solare della prima.
Del resto, aver appreso che i gestori, gentilissimi e schivi, che ho conosciuto pochi giorni fa, dovranno sloggiare al più presto, per via dei lavori di ristrutturazione dello stabile, ha scatenato in me la preoccupazione per il destino dei suoi piccoli occupanti. Che fine faranno? Chi se ne occuperà? Vedrò di saperne di più prossimamente, ma se davvero perderanno i loro protettori, bisognerà trovare una soluzione.
Oltretutto, sembra che l'hotel debba essere ampliato per far fronte alla carenza di posti letto nel centro storico. Un'esigenza che, francamente, non so quanto sia davvero sentita, visto che, di solito, i turisti considerano Fermo una tappa marchigiana da esaurire in giornata. Certo, è vero che la città ospita anche convegni, concerti, un prestigioso concorso di violino e che, spesso, chi vi partecipa non sa dove andare a dormire. Ma mi chiedo: non basterebbe rimettere a posto l'hotel così com'è ed eventualmente incentivare forme alternative di ospitalità, oggi molto più amate soprattutto dagli stranieri? Che senso ha un casermone alberghiero in un posto scelto proprio per la quiete che ispira?
Insomma, m'informerò e riferirò.
Passiamo invece alle foto finali, dedicate, come ho accennato nel precedente post, a Teresa Curtarello, la vedova di Renzo Renzi, una donna di grande simpatia e cultura. 
Teresa "La Vispa", come si è battezzata da sola, e come forse la chiamava il suo Renzo, trascorre le sue vacanze nell'alloggio posto di fronte e intorno alla mia cantina. La prima volta che ho aperto la porta d'accesso al seminterrato, non riuscivo a credere ai miei occhi. Scese le poche scalette, mi sono ritrovata in un corridoio buio, tappezzato, da una parte da un enorme poster di Marilyn Monroe, piazzato dietro a una macchina da cucire Singer, molto simile a quella di mia nonna; dall'altro lato, ho ammirato la tenda svolazzante dipinta che ornava un'altrettanto dipinta finestra. Sollevato lo sguardo, poi, mi sono persa dietro i vari cappelli di paglia appesi qui e là, forse per coprire crepe o altri obbrobri murari.
Accanto alla porta della mia cantina, infine, c'è disegnato un cespuglio di canne e poco distante un magnifico gatto tondeggiante. Naturalmente, ho subito chiesto ai miei proprietari chi fosse l'artefice di tanto estro creativo.
Da bravo fermano riservato, il padrone di casa mi ha solo detto che erano tutte opere di una signora che trascorre l'estate nell'alloggio collocato di fronte alla mia cantina. E stop.
Una spiegazione così laconica non poteva bastarmi. La fortuna mi è stata amica, almeno in questa occasione.
Diversi mesi dopo esserci trasferiti qui, ho conosciuto Mario Dondero e la sua compagna Laura Strappa. Grazie alla seconda, ho saputo tutto di Teresa Curtarello. E di Luigi Crocenzi, grande amico di Teresa e Renzo, colui che per prima aveva loro affittato il piccolo, affascinantissimo alloggio, in cui trascorrere le proprie vacanze estive. Dopo la morte di Renzo, Teresa ha continuato ugualmente a venire d'estate. Ed è stato così che la scorsa l'ho finalmente conosciuta. Non dimenticherò mai i due pomeriggi che ho trascorso con lei, a parlare di tutto, ma soprattutto dei suoi magnifici collage, fatti con carta antica. Lo scorso ottobre ho avuto anche occasione di vedere una sua mostra, dedicata ai ritratti realizzati sempre con questa tecnica. Sono magnifici, raffinati e ironici, come lei.
Teresa mi ha da poco spedito il dvd montato proprio in occasione della sua ultima esposizione, intitolato "Renzino e Teresina". In questo modo, ho potuto rivedere le sue fotografie da ragazza e quelle del suo amatissimo Renzo. Di qui la mia penultima Minima Storia.
Infine, Luigi Crocenzi. Ma ne parlerò nel prossimo post.
Qui voglio invece mostrarvi qualche altro scatto:





Nel ritaglio di giornale, potete vedere la caricatura che Federico Fellini, testimone di nozze di Renzo e Teresa, fece al primo. Nel dvd che mi ha regalato Teresa si vede più volte il grande regista e la caricatura originale, fatta su un fazzoletto.
Che altro aggiungere? 
Fermo è un posto strano e aggiungerei stratificato. 
Per quanto possibile, continuerò a raccontarlo.

martedì 24 gennaio 2012

Riassumendo: gli ultimi scatti... meno due!

In una settimana ho lavorato come una matta, compreso il fine settimana conclusivo a "INTANTO", la mostra collettiva all'ex mercato coperto che mi ha aperto le porte (letteralmente) su angoli di Fermo che non immaginavo nemmeno. E chissà che, una volta consegnato il progetto concepito per Itaca, questo spazio non mi serva per mostrarli al resto del mondo. Vedremo.
Qui riassumo, il più possibile, le ultime scoperte.
Parto dai cambiamenti: ho fatto fuori (un po' obtorto collo, ma fa niente) il camminatore e ho inserito altri protagonisti, compresa una seconda statua che mi ha sempre messo una certa inquietudine.
Si tratta di San Savino, il protettore di Fermo, realizzata in bronzo. Le intemperie e il tempo hanno accentuato le spaccature sulle mani, quella che regge il pastorale e l'altra, rivolta verso l'altissimo. Il risultato? A me mette paura. Sembrano ossa appena ricoperte dalla pelle, come capita a molti centenari. Man mano che si passa il proprio tempo sulla terra, insomma, si diventa sempre più simili al nostro scheletro.
Prima di lui, ho scattato qualche foto a Carla, la mia edicolante, che si è dimostrata di una gentilezza veramente sorprendente. Perché ho deciso che poteva andar bene per una delle mie storie? Semplice: ha tagliato i capelli e così è tornata fuori la sua espressione burbera, accentuata dalle sopracciglia molto arcuate, sfoltite sicuramente da mani esperte (magari proprio le sue: è sempre truccata alla perfezione, nonostante il suo aspetto un po' mascolino).
Poi ho beccato Diana (finalmente!), una donna complessa, insieme dura e dolce, a mio avviso dotata di un cervello fuori dal comune. Sono sicura che se ci chiacchierassi più spesso, potrebbe raccontarmi storie affascinanti, torbide, misteriose e poetiche. Cercherò di non perderla di vista, qualunque cosa accada.
E che dire degli Astorri, i miei vicini di casa, quelli che abitano dietro il portone verde grande e squadrato? Più di una persona che mi ha accompagnato, ha fermato l'auto davanti a loro, dimenticando che il nostro, due numeri civici più giù, è tondeggiante. 
Mai avrei immaginato di ritrovarmi in un pezzo di storia, non solo di Fermo.
Anche la casa dei miei vicini, infatti, era parte dei possedimenti della famiglia nobile dei Colli, per un periodo incaricati dal vescovo di battere moneta papale, nella zecca collocata nelle cantine del mio palazzo e del loro. 
Sembra però che fossero degli imbroglioni o almeno in questo modo vennero additati dalla curia quando persero la licenza. Costretti a vendere i loro beni alla diocesi, il palazzo oggi di proprietà degli Astorri andò alla diocesi che la rivendette ai miei vicini negli anni Sessanta. Fino ad allora la zecca era rimasta murata. Sennonché la signora Astorri (una quasi mia omonima di origini assai più elevate delle mie) spinse il marito ad abbattere quella strana parete che suonava a vuoto.
Prima di scattare le foto in giardino, il signor Astorri ha voluto mostrarmi l'angolo rimasto segreto per molti anni, forse secoli. In fondo a una scalinata ripidissima, mi sono trovata davanti una stanza rotonda con volta a cupola e sfiatatoio sulla sommità. Sono rimasta senza parole. Si trattava di un mitreo, ossia un tempio dedicato al dio Mitra, venerato ancora in epoca romana. Al posto del lungo tavolo di legno scuro disposto dagli attuali proprietari  verso sinistra, dando le spalle alla scalinata d'accesso, doveva esserci l'altare sacrificale. Al posto della porta di accesso al giardino situata di fronte, invece, c'era la via di fuga verso il fiume, nel quale confluiva l'acqua utilizzata per spegnere il fuoco e per lavare l'altare.
Ho avuto un sottile brivido, lo confesso. Ho chiesto se l'abbiano mai fatto vedere ad esperti di antichità e mister Astorri mi ha risposto di sì. Solo che, per carità, non vuole gente tra i piedi, quindi, ha chiesto alla Soprintendenza di tenerselo per sé. Beh, adesso lo so anch'io, ma in effetti non credo che corra pericoli!
Infine, stamattina sono entrata nel giardino di Villa Vinci: meraviglioso è dire poco. Ho chiacchierato (e fotografato) anche i custodi, una coppia molto anziana che abita in quella che un tempo era la biblioteca della villa.
Non esporrò lo scatto che li riguarda, bensì uno del giardino, oppure un dettaglio. Prima, però, voglio dormirci su: ho constatato che la scelta mi viene molto più facile se lascio sedimentare un po' le immagini considerate da me le migliori. Mi è capitato di cambiarne qualcuna all'ultimo momento, infatti. 
Dimenticavo l'ultima Minima Storia, realizzata, per l'appunto, con una foto che avevo già pubblicato qui, convinta che mi sarebbe servita solo come ambientazione. E invece, a sorpresa, ho seguito il suggerimento inconsapevole della mia amica Luciana e l'ho usata proprio per raccontare dell'indiano metropolitano, ancora, purtroppo, malato. E gravemente, da quel che ho capito.
Ho provato a cercarlo fino all'ultimo, chiedendo una mano a suo cugino, ma niente da fare. Mi dispiace veramente e continuo a sperare di reincontrarlo, prima o poi, in sella alla sua vespa nera. 
Insomma, sono quasi alla fine.
Mi mancano, in teoria, solo due scatti e due storie. 
Ma forse ne sostituisco una realizzata molto tempo fa. Confido solo che torni in fretta il bel tempo... 
Vi lascio con alcuni scatti che testimoniano il lavoro di questi giorni: 








L'ultima è dedicata a Renzo Renzi, il fondatore della Cineteca di Bologna, scomparso a fine 2004, che purtroppo non ho fatto in tempo a conoscere. Per fortuna, ho fatto amicizia con la sua Teresa Curtarello, "la vispa", che mi ha dato il consenso a fotografare il suo alloggio estivo, posto di fronte (e intorno!) alla mia cantina... Un compito che mi sono data proprio per domani mattina.
Alla prossima, percioò, per il nuovo resoconto!

giovedì 19 gennaio 2012

Dalla delusione alla riscossa

Alla fine, proprio quando pensavo che il mio lavoro fosse in discesa, si sono verificati una serie di contrattempi un po' deludenti. Pazienza. Non tutto può andare sempre come vorremmo e già mi sembra un miracolo di essere arrivata alla dodicesima "Minima storia" senza incontrare ostacoli.
Del primo NO ricevuto dalle Sorelle Tettamanzi ho già parlato. Non mi aspettavo, però, che il sì del camminatore si trasformasse in un NI, che per me equivale a un no. Ho anche provato a insistere (richiamandolo ben due volte), ma direi che può bastare.  
Nel frattempo, ho preso altre strade, compresa l'ultima, già programmata, davvero stimolante. 
Nel palazzo in cui vivo, abitava Luigi Crocenzi, uno dei più significativi esponenti del racconto fotografico per immagini e parole. La scoperta della sua esistenza, unita alla straordinaria coincidenza di essere venuta a vivere nello stabile oggi di proprietà dei suoi eredi, risale a oltre un anno fa e non posso escludere di aver concepito il mio progetto proprio per questa ragione. 
Scrivo così perché si tratta di un condizionamento non del tutto conscio: da sempre amo la fotografia di reportage, da sempre mi affascinano i volti delle persone comuni e i dettagli. Forse, siamo venuti ad abitare qui proprio perché potessi esplicitare la mia poetica, se di ciò si tratta. Qualcosa mi dice, tra l'altro, che non resteremo a lungo in questo angolo del centro storico e forse in questo paese.
Prima di andarmene, insomma, avevo una missione, magari piccola, magari destinata a essere nota a una ristrettissima cerchia di amici, ma dovevo compierla.
Dò troppa importanza ai segni? Può essere. Resta il fatto che solo quando mi lascio assorbire del tutto da un progetto, riesco a sentirlo veramente mio. 
E quindi: mentre attendo di sapere dal tutor che cosa ne pensa delle storie Tredici, Quattordici e Quindici, mi preparo ad affrontare l'ultima, la ventesima... E le altre quattro? Ci sto lavorando, figuriamoci.
Tra poco ho un appuntamento, o almeno lo spero; nel pomeriggio ne ho un altro. Per fissare quello ulteriore, devo fare una telefonata (l'ho rimandata fin troppo, accidenti a me!) e per la diciannovesima ho bisogno di ispirazione spirituale... o demoniaca, chissà!
Insomma: ce la farò, ce la devo fare, assolutamente, a finire il lavoro entro giovedì prossimo. Solo così, infatti, Silvano Bicocchi avrà il tempo necessario per aiutarmi a tirare le fila e a sistemare foto e testi.
E poi? Come ho scritto nel testo sotto la foto in alto, mica si può prevedere tutto?
Vi lascio con alcuni scatti di questi giorni:








Il palazzo con le auto davanti, ai tempi di Luigi Crocenzi, era al civico numero dieci. Lo attesta una cartolina (pubblicata su un catalogo di una mostra dedicata alla fotografia negli anni del Neorealismo, organizzata a Fermo lo scorso anno) che l'intellettuale fermano scrisse a suo padre nel 1950, ai tempi in cui frequentava ancora Elio Vittorini. Con lui realizzò la prima edizione di "Conversazione in Sicilia", illustrata (e qui stava il problema!) dalle sue fotografie.
Per Crocenzi, la foto era molto di più di una semplice appendice al testo scritto. Come lui cominciarono a pensarla molti giovani fotografi, compreso Mario Giacomelli, che Crocenzi ebbe il merito di lanciare.
Da allora, molte cose sono cambiate. 
Immortale è, invece, la ricerca di senso del nostro vivere, con immagini, parole o quant'altro sia disponibile a noi essere mortali.

domenica 15 gennaio 2012

I gatti della Casina delle Rose

Sono stati tra i primi protagonisti delle mie escursioni ai cassonetti della spazzatura, già nei primi giorni in cui siamo venuti ad abitare in via Mazzini, ben prima che decidessi di intraprendere il lavoro che sto documentando in questo spazio.
Sto parlando dei gatti che gravitano intorno all'hotel sulla cima del colle del Girfalco, la famosa, per i locali, Casina delle Rose, costruita, se non erro, intorno agli anni Cinquanta.
Se dovesse saltare qualche altra "minima storia" di quelle programmate, non escludo di inserirne un'altra su questo edificio un po' fatiscente, dalle finestre tondeggianti come bifore e le tapparelle di plastica decisamente fuori contesto. Ospiti fissi di questo albergo, e direi meglio del suo ristorante, sono una quindicina di gatti, alcuni in pianta più o meno stabile nel cortiletto attiguo alle cucine, altri di passaggio nel medesimo posto, quando la fame si fa troppo imperiosa.
Ogni tanto qualcuno salta sulla tettoia di lamiera che scorgo anche dalla finestra della nostra camera da letto, ma per poterli immortalare adeguatamente, mi occorrerebbe un teleobiettivo da reporter addetto alla Camera dei Deputati, di quelli che riescono a leggere nitidamente i pizzini dei nostri simpatici onorevoli.
Conoscendo la ritrosia (più teatrale che autentica) di questi animali, ho creduto che fosse meglio fotografarli dall'alto. Alla fine, però, ho cambiato idea, sicché la foto selezionata per il portfolio Itaca è decisamente da vicino. L'ho intitolata "Menu del giorno" e ho parlato del baccalà, un alimento, quest'ultimo, diventato prelibatezza da gourmet, proprio per questo scomparso dai piatti offerti dall'hotel.
Poco male. I gatti, soprattutto quelli di strada abituati a ben altre ristrettezze, si accontentano anche di cucine meno raffinate. Come la trippa, tuttora pezzo forte della Casina delle rose, tradizionale e antiquato come il medesimo stabile.
Vista la gentilezza dei gestori e il loro amore per i felini, non escludo di andare prima o poi a sperimentare la loro cucina. Alla peggio, se dovessi sentirmi troppo sazia, so gli avanzi non andrebbero sprecati.
E ora non mi resta che presentarvi i gatti del duomo:




Che altro aggiungere? Lunga vita all'hotel, al suo ristorante, e ai suoi avventori più affezionati.

martedì 10 gennaio 2012

Le sorelle Tettamanzi hanno detto no

E già, alla fine, dopo oltre un mese, ne ho incontrata per caso una, mentre usciva dalla macelleria e purtroppo ho saputo: il consiglio di famiglia ha deciso per il no, niente foto di gruppo. E' un vero peccato, perché sono sicura che si sarebbero divertite, ma pazienza, me ne farò una ragione.
Viceversa, venerdì mattina, alle 9.15 circa, incontrerò il tipo che cammina... mentre cammina! L'ho chiamato apposta per fissare giorno e ora del set fotografico itinerante. Speriamo solo che non piova; per il resto, mi doterò di un abbigliamento comodo (tuta, scarpe da tennis e giacca a vento) e farò un pezzo del suo abituale percorso verso il duomo. Sono davvero curiosa di sapere che cosa fa nella vita e come mai ha deciso di camminare per tutta Fermo con una tale, invidiabile, sistematicità.
In attesa dell'incontro, vi offro uno scatto in bianco e nero della lapide dedicata all'uomo simbolo del Risorgimento italiano, nonché nome della via in cui abito:

Non so se fotograferò il tipo che cammina all'altezza del baffone patriota (non me ne voglia il Beppe e i suoi fan per averlo chiamato in questo modo), ma mi sembrava adatto a rappresentare lo spirito ardimentoso con cui affronterò il prossimo impegno.
Per fortuna sono allenata, ma già so che alla fine della mattinata sarò sfinita.
A presto (pant pant) per il resoconto.

lunedì 9 gennaio 2012

Ricapitolando (prima del rush finale)

Riprendere le fila dopo un mese di interruzione è abbastanza dura, ma sono motivata, quindi ce la farò.
Dunque: chi è che non ho ancora fotografato? Un sacco di gente. Ma no, non è vero: diciamo che ho alte probabilità di non raggiungere tutti i "fotografabili" elencati all'inizio di questo diario di bordo, ma non dispero. 
So che le storie (minime) migliori possono nascere anche da altre suggestioni. In attesa di farmele venire uscendo in strada con la fotocamera (oggi tempo da lupi!!! E del resto siamo in pieno inverno...), riassumo qui le mie intenzioni per i prossimi quindici giorni. L'ultima settimana, teoricamente, dovrebbe servirmi per tirare le fila con il mio tutor... speriamo! Ecco qui chi (e che cosa) vorrei fotografare:
1) il camminatore e la sua fidanzata (gli ho estorto il numero di cellulare: so persino come si chiama!);
2) il giardino (ed eventualmente i custodi) di Villa Vinci, su al duomo;
3) il vecchietto distinto con barboncino bianco che abita pochi numeri civici dopo di me;
4) l'indiano metropolitano con vespa annessa (perché mi è sembrato di rivederlo per strada, un giorno che stavo facendo ordine nella mia camera da letto, la stessa da cui ho immortalato Gloria, prima di conoscerla);
5) i vecchietti che stazionano sul curvone verso le 19-19.30 e che prima si fanno la passeggiata "per piazza", come si dice da queste parti;
6) la cantina di Foschi, già fotografata, sempre che riesca a trovare la chiave giusta per raccontarla degnamente (se ne scrivo, dovrò chiedere sicuramente l'autorizzazione a usare l'immagine: i gestori del bel negozio di caffè e cioccolate si vergognavano talmente del casino che mi hanno mostrato... Perché non hanno mai visto la mia!);
7) le sorelle Tettamanzi o almeno la loro sagoma (non le ho più rincontrate: mea culpa, mea grandissima culpa);
8) le ragazze con cane, lo scalatore della ripida costa di fronte alle finestre di casa mia;
9) l'anima di Luigi Crocenzi nel palazzo in cui abito (sono proprio curiosa di scoprire come la farò vedere in una foto!);
10) dettagli vari (i gatti dell'hotel ristorante Casina delle Rose, per esempio!)... concludo così perché già immagino che, durante le esplorazioni fotografiche venture (e forse avventurose) finirò inevitabilmente per alternare ritratti di persone in carne e ossa a dettagli rubacchiati qui e là.

Concludo con una precisazione a beneficio dei lettori che (eventualmente) avessi raccattato alla Collettiva "INTANTO", non ancora conclusa, all'ex mercato coperto: tutte le suggestioni emerse nei miei giorni come custode e come fotografa del backstage non andranno perse, ma molto probabilmente costituiranno l'inizio del prosieguo di questo spazio, quando finirà di essere il diario di bordo del mio progetto per Itaca, per trasformarsi in qualcos'altro... 
Prima, però, sento di dover finire il lavoro cominciato. 
Niente si fa in un giorno. Neanche in una vita, a dirla tutta.
Tra l'uno e l'altra, però, qualche piccolo passo lo si può percorrere.
Lucido scarpe e fotocamera (?) e vado.
Nel frattempo, eccovi qualche altra foto dell'ambientazione:





L'ultima mostra il patrono di Fermo, tale San Savino. Confesso di ignorarne del tutto la storia, ma ho come l'impressione che ne saprò presto qualcosa... sono troppo ottimista? Nella volontà sì.
Lasciamo perdere la realtà. Qui, per fortuna, può restare sullo sfondo.
A presto.

giovedì 5 gennaio 2012

Da dove nasce Minime Storie

Mi sono sempre dimenticata di scriverlo, ma credo che adesso sia proprio arrivato il momento di spiegare le origini di questo spazio.
Innanzitutto, mi sono fatta suggestionare dal titolo di una canzone. Si tratta di "Storia minima" di Paolo Conte. Per chi mi conosce, è abbastanza normale che sia ricorsa al Maestro, che mi accompagna ormai da oltre 23 anni (accidenti!), per trovare un titolo degno al mio blog.
A onor del vero, però, devo aggiungere un altro tassello: da sempre amo i dettagli e le piccole storie, i micro-aneddoti. Questo mio modo di fare si ritrova nei testi che scrivo, nelle frasi che leggo e nelle persone che suscitano la mia curiosità. 
Amo le scoperte segrete, mi piace stupirmi davanti a una scritta su un muro, davanti a un cavallo che improvvisamente scopro pascolare davanti alle finestre di casa mia (giuro, è successo davvero: all'improvviso, poi, sono diventati due. E poi, un giorno, sono spariti, chissà perché). 
Da ragazzina ho raccolto un foglio scritto a penna contenente i dati anagrafici di una persona scomparsa. Molti anni dopo il tipo non aveva fatto ancora ritorno a casa, tanto che è finito a "Chi l'ha visto?".
Quando ho cominciato il viaggio nel mio quartiere, non immaginavo che cosa avrei trovato, ma ero certa che le storie più belle sarebbero nate dal caso. 
La prima foto è stata alle scarpe che vedete in alto, ogni volta che aprite il blog.
Me le ha segnalate Paolo il Bipede, andando a prendere la sua vespa. Sono rimaste lì per giorni, a inizio ottobre, proprio quando ero via. Se non ci fossero stati i suoi occhi, insomma, sarebbe mancato un fondamentale tassello per le storie che vanno via via dipanandosi da allora.
Saranno scarpe da sposa? E' probabile. Patrizia Di Ruscio, la vicepresidentenssa dell'associazione "Il Bianco", colonna portante della collettiva "INTANTO" ancora in corso all'ex mercato coperto, ne è convinta.
Sono troppo nuove, ha considerato Patrizia: danno l'idea di calzature indossate una sola volta e forse lasciate lì, in un ideale "shoes-crossing" a beneficio di altre spose.
Quelle scarpe sono state la mia prima "Minima Storia", adesso ospitata sul sito del Fotoclub che linko nella colonna a destra affianco ai post. Di seguito, con intervalli differenti, ne sono fiorite altre e altre ne arriveranno a partire dalla prossima settimana.
Confesso che mi mancano le mie esplorazioni fotografiche. Al contempo, so che, richiedendomi impegno assoluto, ho fatto bene a sospendere il mio lavoro in attesa di giorni più sgombri.
Oltretutto, proprio grazie a "INTANTO" ho conosciuto altri possibili protagonisti delle mie "Minime Storie", che finiscano o meno nel progetto "Itaca", non importa. 
E già, perché ho già capito che questo blog dovrà andare avanti anche una volta che avrò concluso il lavoro nato grazie a Giovanni Marrozzini. 
E' tempo (quasi...) che cammini con le mie gambe, la mia fotocamera e le mie idee, sulla vita, sul mondo e, perché no, anche sull'arte. Qualunque cosa voglia significare questa parola.
Eccovi le scarpe, nuovamente:

Un grazie, anzi due, ai Paoli della mia vita (domani il Maestro compie 75 anni: auguri e mille di questi giorni!). E a voi che passerete di qua a incoraggiarmi e a darmi altri spunti... Vi aspetto.