Per spingerli su questa strada (per quanto mi sia possibile: mica sono lo sciamano Giovanni Marrozzini?), eccovi finalmente i testi da loro prodotti durante il workshop. Manca la versione più lunga dello scritto di Maddalena Blandino sulla "meriggia", ma so che ci sta lavorando per cui sarò ancora più contenta di dedicare un ulteriore post al lavoro della mia giovane amica.
Manca, ahimè, anche una delle immagini del collettivo ZITTITRISTI, che però conto di recuperare a breve (Matteo Crescentini, volevo il tuo Jpeg con la faccina :'(, ma forse non mi sono spiegata).
Mi accontento (si fa per dire!) dell'immagine di Maria Teresa Dell'Aquila, la vera mente del Collettivo più triste del pianeta e della versione riveduta da Marco Cappellano, triste "in sé" (capirete in seguito perché scrivo così). Infine, mi beo (e sì!) dei testi, straordinariamente, profondamente... tristi, che riproduco sotto.
Sto scherzando, eh, però chi avrà la pazienza di leggerli, si accorgerà quanto siano intrisi di silenzio. E di poesia. Il che, in effetti, un po' li rende tristi. Solitari. Y final. E con ciò smetto di dire sciocchezze. E lascio che a parlare siano i lavori dei partecipanti a Letteralmente Fotografia.
Buona lettura.
Il canto della
piana
Un pomeriggio
solitario nelle campagne di Castelluccio di Norcia - di Edoardo CiambelliMuovo i primi passi, mi guardo attorno: montagne striate di neve proteggono la valle in ogni direzione e il paese è l’unico segno di urbanizzazione che il mio sguardo riesce a incontrare. Il silenzio è rotto dal gracchiare di cornacchie che si alzano in volo e dal suono del vento a tratti forte. Niente di paragonabile a quello che spira nella grotta della Sibilla, ne sono certo.
Mi
fermo, respiro piano, l’aria è fredda,
pungente.
Riprendo
il mio cammino e dopo cinquanta passi, alla mia destra m’imbatto in cumuli di
fieno, simbolo di una realtà contadina che rappresenta il passato e il presente
di questo luogo. Percorro altri cento passi, esco alla mia sinistra, nel prato.
Il terreno è ancora zuppo d’acqua e a tratti il monotono giallo dell’erba secca
è interrotto da puntini viola. Sono crochi, un timido segnale di una primavera
che sembra non voler arrivare. I fiori hanno la corolla chiusa, i petali si
stringono a vicenda e riparano il loro cuore dalla fredda brezza, in attesa che
un raggio di sole possa convincerli ad aprirsi al mondo.
Torno
sull’asfalto, venti passi avanti e sulla destra ancora presse di fieno. Ancora venti
passi e a sinistra, una rosa canina, agita le sue braccia prive dei rossi frutti
che avrebbero dato piacere al mio palato e vitamine al mio corpo. Continuo la passeggiata
e dopo tenta passi, a destra, un cartello di divieto di transito obbliga tutti
i mezzi a non oltrepassare quel punto.
Decido
di proseguire comunque e dopo duecento passi la monotonia del giallo spento
dell’erba è interrotto dal rosso acceso di un attrezzo agricolo che attaccato a
un trattore consente la raccolta del fieno.
Questi
campi spenti e tristi, provati dal lungo inverno, tra pochi mesi saranno
ricoperti da un tripudio di colori. Chiudo gli occhi e m’immagino fiori mossi
dal vento che mescolano i loro profumi nell’aria.
La
prossima estate voglio essere qui.
Poco
oltre, sotto ai miei piedi, centinaia di buchi nel terreno indicano gallerie
sotterranee scavate dalle talpe. Faccio trecento passi ed ecco una recinzione
metallica a proteggere un terreno ancora totalmente ricoperto di neve. Dalla
recinzione mi sposto a destra di cento passi, verso una catasta di legna di
faggio. Trenta passi oltre, una capanna, una cuccia, una catena, probabile
rifugio notturno di un cane pastore. Alzo gli occhi e sulla collina di fronte il
bosco a forma di penisola italiana mi appare in tutta la sua estensione. Faccio
settecento passi in avanti e altri settecento verso destra e sono sotto
“l’italietta”, vicino alla chiesetta. Salgo i pochi scalini che mi portano al
piccolo altare; intorno alle due statue della Madonna solo fiori secchi e sopra
molti rosari messi da fedeli, a simboleggiare un ringraziamento o una richiesta
di grazia. Sulla parete sinistra, un testo spiega che il bosco italico è nato nel
1961, in occasione del centesimo anniversario dell’unità di Italia. Accanto, una
delle più belle opere mai scritte: Il cantico delle creature di San Francesco
di Assisi.
Riprendo
il cammino, cento passi a destra, cinquecento in avanti, quattrocento a
sinistra e arrivo a due capanne di metallo, sulle quali il vento si diverte a
suonare melodie fatate. Accanto a loro, alcuni cardi secchi s’innalzano dal
terreno lasciandosi cullare dalla brezza. M’incammino nuovamente, cento passi e
sono sulla strada asfaltata. Alla mia sinistra solo prati e montagne, con sopra
un plumbeo cappello di nubi che bloccano i raggi di sole di una giornata che
ormai volge alla sera. Altri settecento
passi avanti e mi ritrovo in un maneggio, che oggi appare nelle vesti di un campo
delimitato da staccionate in legno.
La
luce del giorno è scomparsa, il grigio ha lasciato il posto al nero della
notte. Chiamo Luciana. Nessuna stella in cielo, l’oscurità è interrotta
solamente dalle poche luci di Castelluccio e dai fari delle auto che passano
lentamente. Socchiudo un po’ gli occhi e salgo nell’auto di Luciana. Alle
nostre spalle, la piana si dissolve, ma è solo un’illusione. Tra poche ore gli
animali torneranno padroni della loro casa.
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Non mi strecciare/1 (di Ivana De Napoli, versione originale)
Se vuoi
conoscere chi io fossi stata prima di divenire quello che ora sono, ti converrà
sapere che tutto ebbe modo di accadere presso un piccolo paese arroccato,
circondato da lunghe distese di campi e lisce montagne di pietra.
Sono la
settima di sette fratelli. Mio padre, pastore di pecore. Mia madre, madre e
contadina; mamma accudiva le mie sorelle, i miei fratelli, l’asino e pochi
altri animali della stalla che avevamo.
Esterina, la
maggiore di tutti, aveva nove anni e l’incarico di raccogliere legna nei boschi
circostanti il paesello, ma soprattutto, Esterina, badava a me ché ero la più
piccola.
Era lei che
mi vestiva di petali leggeri come la seta appena filata, mi ornava i capelli di
fresche corolle profumate d’aurora e mi nutriva di miele prezioso più dell’oro
e dolce più dell’uva spina.
Era lei che
mi cantava ninne nanne e filastrocche fataline sussurandomele nell’orecchio per paura di crettare l’immenso
e bianco silenzio ammantato sopra noi.
Era lei che
mi passeggiava tra i fazzoletti colorati di zafferano, lavanda e papaveri.
Mi cullava
nel ventre dell’albero cavo posto ai piedi della grande montagna così che
quando il vento spirava forte rincorrendo gli ululati dei lupi non avrebbe
potuto portarmi via da lei.
Era lei che
mi accolse tra i raggi di luce lunare facendo di me un corpo di stelle.
Mi chiamo Roberta,
sono nata nell’agosto 1961 e vivo a Castelluccio.
Sono anima
soffiata dal vento, dentro il tuo silenzio, piove il destino altrui.
Sprofondo
nell’acqua, mi sento chiamare, non mi strecciare.
Dove sei?
Non ti vedo. Attorno solo sangue e fango. Non respirarmi.
Coriandoli
di cenere e maschere di fango. Sono pronta per il ballo.
Mamma,
perché indosso ancora questa divisa sporca? Questa medaglia al petto punge e mi
fa male.
Ricordo solo
sabbia. L’aria è satura di zolfo e intrisa di lacrime. La mia baionetta non
spara più.
Mi guardi
piangendo, sfiorando le tue dita sul quel viso. Non ti accorgi che invece sono
dietro di te? Quella è solo un’immagine marmorea. Non volgermi le spalle.
Dovevo ascoltare i messaggi, trascriverli e riportarli al mio superiore. Una tortura, avevo male alla testa. Quelle voci mi hanno ucciso.
Continui a
fissarmi così, finiscila! Ora sei libera.
Perché mi
hai riunito a lei? Credevi davvero che ci mancassimo? Vuole ordine anche qui.
La mia
bambina, dov’è la mia bambina? Roberta…
Qui dove il
silenzio regna lei urla.
Non mi
strecciare/2 (versione rivista con me)
Tutto ebbe modo di accadere in un piccolo paese arroccato. Intorno lunghe distese di campi e montagne di pietra.
Sono la
settima di sette fratelli. Mio padre, pastore di pecore. Mia madre, madre e
contadina; a lei il compito di accudire l’asino e i pochi altri animali della
stalla.
Esterina, la
maggiore di tutti, aveva nove anni e l’incarico di raccogliere legna nei boschi.
soprattutto, Esterina badava a me, la più piccola.
Mi vestiva di seta e mi ornava i capelli con l’aurora.
Mi cantava
ninne nanne e filastrocche in un sussurro. Temeva troppo le screpolature del
silenzio.
Era lei che
mi passeggiava tra i fazzoletti colorati di zafferano, lavanda e papaveri.
Mi cullava
nel ventre dell’albero ai piedi della grande montagna, così che quando il vento
spirava forte rincorrendo gli ululati dei lupi, non avrebbe potuto portarmi via
da lei.
Era lei che
mi ha reso corpo di stelle.
Mi chiamo
Roberta, sono nata nell’agosto 1961 e vivo a Castelluccio.
Sono anima
soffiata dal vento, dentro il tuo silenzio, piove il destino altrui.
Sprofondo
nell’acqua, mi sento chiamare, non mi strecciare.
Dove sei?
Non ti vedo. Attorno solo sangue e fango. Non respirarmi.
Coriandoli
di cenere e maschere di fango. Sono pronta per il ballo.
Mamma,
perché indosso ancora questa divisa sporca? Questa medaglia al petto punge e mi
fa male.
Ricordo solo
sabbia. L’aria è satura di zolfo e intrisa di lacrime. La mia baionetta non
spara più.
Mi guardi,
sfiorando le tue dita sul quel viso di marmo. Non ti accorgi che invece sono
dietro di te? Non volgermi le spalle.
Dovevo
ascoltare i messaggi, trascriverli e riportarli al mio superiore. Le cuffie mi
davano mal di testa, ogni volta. Quelle voci mi hanno ucciso.
Continui a
fissarmi così, finiscila! Ora sei libera.
Perché?
Credevi davvero che ci mancassimo? Vuole ordine anche qui.
Qui dove il silenzio regna,
lei urla.
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Una notte in sé
di Marco Cappellano
Decido di uscire a fare foto.
Scendendo le scale, all' ultimo gradino,
le luci temporizzate decidono di spegnersi. Le riaccendo.
Un gatto in ceramica sul tavolo di fronte
mi fissa dritto negli occhi.
Le chiacchierate con Daniele sulla paura
dei lupi mi hanno un po' rassicurato, dopo aver sentito gli ululati.
Torno un po' nel momento in cui esco. Ma
vabbè.
Prima del cimitero mi farò un giro per il
centro di Castelluccio. I rumori mi disturbano. Intanto mi finisco una
sigaretta, il lampione alle mie spalle.
Decido di salire al paese.
In un istante, mi giro verso il cimitero.
I cani iniziano ad abbaiare. Una coda bianca si dissolve nel buio.
Magari riesco a farmi amico uno dei cani,
così nel momento in cui entrerò nel cimitero sarò un po' più tranquillo. Mi
avvio verso il centro, riaccendo un'
altra sigaretta.
Le persiane sbattono, sembra il far west.
Mentre mi allontano, oltrepasso i fili dei pali della corrente che ronzano.
Alcuni secondi dopo i cani iniziano ad abbaiare. Che siano ritornati i lupi?
Nella piazzetta centrale il vento muove
qualcosa, sento un incessante rumore di campanelli, intervallato dai pezzi di
carta, che spinti dal vento, girovagano nella piazza, come me. Senza una meta.
A prepararmi da quel cimitero che è come
la piazza ed il resto delle strade in sè.
Controllo il respiro. Continuo.
Riaccendo la sigaretta per gli ultimi due
tiri. Scrivo al buio.
Inizio facendo un giro largo.
La strada pulita e ben illuminata per un
po' mi rassicurano. I lupi sono forse scomparsi dalla mia mente.
h. 2:31
Salgo fino ala cascina Brandimarte. Il
vento è meno inquietante. Le lampade al sodio, attorno, mi rassicurano un po'.
h. 2:36
Non sembra più un percorso di paura.
Imbocco in una gradinata dove il vento non si sente quasi più, e forse nemmeno
il freddo, tant'è che nemmeno ci penso. Quel che mi rimette un po' di buon
umore è il cinguettio degli uccelli, annidati sotto i tetti di alcune case che
ho appena oltrepassato..
Nemmeno ho voglia di riaccendermi la
terza sigaretta…
L' allerta è sempre dietro l' angolo.
Imbocco per una viuzza, quando noto alle
mie spalle la luce di un lampione spegnersi e riaccendersi. Mi giro.
E' tutto ok. Un telo al lato sinistro
della strada, alimentato dal vento, si gonfia e si sgonfia, come un polmone. Si
rispegne il lampione. Pace.
h. 2:47
Il vento si rifà più forte… non mi va di
sentirlo così forte, imbocco in via dela Volpe… riaccendo una sigaretta.
Mi rigiro di colpo (sarà un caso?): due
cani, uno bianco ed uno pezzato bianco e nero, pattugliano le vie…
Naturalmente non mi cagano di striscio.
h. 3:25
Percorrendo alcune scalette arrivo alla
chiesa di Santa Maria Assunta.
Una fontanella nel suo scrosciare
ininterrottamente mi suggerisce di farla da qualche parte, e la faccio in un
angolo buono che trovo..
Suggestione? Nella stessa via il cane
bianco di prima continua a pattugliare le viuzze, ma di lasciarsi avvicinare
non vuole saperne… mi giro dall' altra parte, scorgo l' agriturismo ed il
cimitero. I cani laggiù, prontamente abbaiano, puntuali… sento di nuovo il
vento.
h. 3:37
Situazione un po' più normale.
Mi trovo a ripercorrere le strade di
ieri. Ma incontrerò i lupi???
Alla strada del ritorno, un guardiano
(stavolta quello pezzato) dall' alto, abbaia. Cerco di farlo avvicinare, ma non
ci riesco. Forse mi ha già riconosciuto…
h: 3.50
Il vento, nuovamente, non si sente più…
Almeno da me. Però lo sento, e più forte,
soffiare verso il cimitero… ma i lupi???
Mi dirigo verso il cimitero. Il vento si
rifà più forte. Sento i fruscii. Il guardiano si rifà vivo, stavolta quello
bianco, come per avvertirmi. Mi segue, abbaia fino al palo dove ieri avevo
sentito quei tre fruscii. Il cancello del cimitero cigola continuamente. Mentre
scrivo, un minuto di calma. Il cane si zittisce, dopodichè inizia a
chiacchierare con l'altro. Vabbè. Mi fumo una sigaretta, appoggiato sul palo,
protetto dalla luce, in tutta calma. Non ho voglia di muovermi. Guardo il parco
giochi di fronte a me, ascolto tutto ciò che ho attorno. Non mi muoverò finchè
non è spenta…
Temporeggio. Le mando un messaggio.
E' finita la sigaretta. Il cane di prima
ha pure smesso di abbaiare. Chissà se è un segno, se quando mi avvicinerò all'
entrata il cancello smetterà di cigolare. Il vento è meno forte.
Per prima visiterò la tomba di Luigi… il
cognome non mi torna, nello stesso istante il vento si rafforza. Il cancello
ricomincia a cigolare.
Ora ricordo: Brandimarte. Me lo sono
segnato su di una bustina di zucchero di canna, quando parlavo con Daniele.
Sembra proprio che mi abbiano perdonato… in compenso, l'inchiostro sta per
finire… poco male, ho una penna blu di riserva! Mi incammino…
Passo il capanno. Mi siedo
di fronte alle tombe dei Brandimarte, prima di iniziare a cercare Luigi.
Non un rumore, solo un
lieve sibilo, tanto più forte quanto più scrivo. Ma quando ho aperto il
cancello, ho risentito gli uccelli cinguettare. Il vento si rifà forte, rimetto
la penna in tasca…
h. 4.22 Mi risponde dicendo
di essere un po' impegnata. La richiamo, parliamo per un minuto buono. Cade la
linea…
Non importa. Non mi sento
più solo…
Tempo un quarto d' ora, e
ne sono fuori…
Nel momento in cui scrivo,
il vento si rifà più forte, ma il cancello non cigola. E sento nuovamente un
cinguettio. Esco, ma la strada di ritorno non mi rende inquieto.
h. 4.45
Forse il problema non era
il cimitero, ma solo il cancello...
#####################################################
Il respiro delle anime
di Valentina La Poetessa Triste
La città dei vivi ha luci
fredde.
Il sacro terreno è soffice,
è la città dei morti ma non piango.
Vedo il vento.
Fa freddo ma le luci qui sono calde.
Lo sentiranno il vento?
Tra croci infilzate e fiori caduchi
li percepisco respirare
e camminano, nei miei opachi pensieri,
quegli sguardi annegati nell'immensità.
Il sacro terreno è soffice,
è la città dei morti ma non piango.
Vedo il vento.
Fa freddo ma le luci qui sono calde.
Lo sentiranno il vento?
Tra croci infilzate e fiori caduchi
li percepisco respirare
e camminano, nei miei opachi pensieri,
quegli sguardi annegati nell'immensità.
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La mail di Luciana Ciuffini (letteralmente poetica in sé)
vi ho sognato tutti quanti, eravamo insieme in un posto bellissimo che sia chiama Pian Grande, è uno dei posti più belli al mondo, parlavamo di fate scalze, folletti eleganti, di trecce intrecciate e cavalli sudati; ci osservavano montagne con gli occhi e pastori poeti, le ricotte sapevano di neve e la neve di ricotta. Che strano sogno, c’era chi girava l’Italia intera in un’ora e chi il Texas, c’era chi parlava con l’invisibile e chi cercava roulotte che non sarebbero dovute partire mai, andavamo in giro con una macchina volante e ci conoscevamo da una vita. Mi innamoro sempre di chi sogno.... MI MANCATE!!!
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La "Meriggia" fotografica di Maddalena Blandino
Il testo breve:
"Le fate erano tante belle,
iavano a ballà lì alla Rocca,
e se li ragazzi le toccavano, ce ballavano,
questi sparivano, volavano!
Venivano infatati!"
(Giuliana Poli)
Secondo un'antica credenza sibillinica
l'incontro tra un uomo e una fata, o con la danza, o con il canto,
poteva determinare il rapimento dell'uomo.
Avveniva così quella che viene chiamata "Meriggia",
ossia uno scambio, compiuto dalle fate, tra l'uomo rapito nel loro regno
e un suo simulacro che veniva lasciato vivere sulla Terra.
iavano a ballà lì alla Rocca,
e se li ragazzi le toccavano, ce ballavano,
questi sparivano, volavano!
Venivano infatati!"
(Giuliana Poli)
Secondo un'antica credenza sibillinica
l'incontro tra un uomo e una fata, o con la danza, o con il canto,
poteva determinare il rapimento dell'uomo.
Avveniva così quella che viene chiamata "Meriggia",
ossia uno scambio, compiuto dalle fate, tra l'uomo rapito nel loro regno
e un suo simulacro che veniva lasciato vivere sulla Terra.
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E per finire, ecco a voi i manifesti del collettivo ZITTITRISTI, l'originale ideato dalla mente del medesimo, ossia Maria Teresa Dell'Aquila:
E sotto la versione riveduta da Marco Cappellano:
Sto singhiozzando. Non ci credete?
Ad maiora, ragazzi.
Mi zittisco.