giovedì 17 ottobre 2013

Sul Selfpublishing e sul libro come opera collettiva

Detto da una persona che si è appena autoprodotta un libro, può sembrare alquanto strano. E invece, a legger bene, ho fatto esattamente come ha suggerito Michele Smargiassi sul suo blog Fotocrazia, per cui, sì, ora che ho letto il suo post che mi faceva tremare solo al titolo (Io ballo da solo), posso dirlo: ho utilizzato il workshop e i suggerimenti di Daniele Cinciripini e di Maria Loreta Pagnani in particolare (in seconda battuta anche quelli di Demetrio Mancini, che però non se l'è sentita di darmi una mano a far diventare il mio Che gatti un vero e proprio libro), per dare vita a una specie di film, fatto cioè di tanti coautori.
Se penso alla quantità di foto che avevo selezionato all'inizio del mio viaggio pre-editoriale, per esempio, comprendo quanto dice il giornalista de La Repubblica a proposito dei fotografi editori di se stessi. Sono assolutamente convinta del fatto che non possiamo saper fare tutto.
Io, per dire, di grafica non so quasi nulla, se non quello che ho imparato frequentando le redazioni e leggendo libri e giornali. Posso invece sentirmi sicura (mai del tutto: chi lo è in genere non ha molto da dare) di quello che scrivo e delle idee che passano sotto le mie dita, soprattutto quando scrivo e anche (molto meno: non sono una fotografa professionista) quando scatto.
Perciò bando alle chiacchiere e alle insicurezze: come già scritto nel precedente post, domenica mattina presenterò il mio libro durante il Festival del Selfpublishing di Senigallia e osserverò (lo spero proprio: altrimenti farò un monologo in solitaria, come i poeti di strada di Londra!) le reazioni di chi verrà ad ascoltarmi.
Resto infatti dell'idea che un lavoro nel quale abbiamo creduto (e non poco) vada comunque condiviso. E poi lo scrive anche Smargiassi: a volte l'autoproduzione permette di mettersi una buona volta in gioco, in barba ai frustranti "le faremo sapere" collezionati anche dai talenti eccezionali (e giuro: non sto parlando di me).
Giusto a inizio ottobre, tra l'altro, ho partecipato al workshop di Christian Caujolle sul mestiere del photoeditor, durante il Festival di Internazionale a Ferrara: l'ho scelto più che altro per la curiosità di sentir parlare uno dei più importanti professionisti del settore. Manco a farlo apposta, il critico francese ha citato la stessa fotografa di cui parla Smargiassi, ossia Cristina De Middel, autrice che si è fatta strada con l'autoproduzione, oggi stra-pagata grazie alle vendite via Amazon.
Insomma: non esiste un'unica via per chi abbia voglia, urgenza o semplice brama onanistica (rubo l'aggettivo usato dal giornalista nel suo post) di vedersi stampato.
Resta però vera la distinzione tra un prodotto destinato a circolare tra pochi intimi e un altro rivolto a un pubblico un pochino più ampio. Come e chi decide se qualcosa sia realizzato per il primo o per il secondo scopo non è sempre frutto di una precisa scelta dell'autore. Ci sono persone bravissime che non comprendono il valore di quello che fanno e altre così così che si buttano e magari hanno anche fortuna.
Venendo alla sottoscritta, ho voluto esplorare una nuova strada, tutto qua.
Indipendentemente da come andrà a finire, sono contenta di averlo fatto.
Perciò... ad maiora!
:-)

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