sabato 18 febbraio 2012

L'ultimo post del progetto per Itaca...

E' fatta: ieri mattina ho spedito il cd con il lavoro definitivo.
Diciamo che ho scelto proprio la giornata più adatta, di quelle che non vorresti mai che comparissero sul calendario (era venerdì 17), ma l'ho fatto quasi apposta perché bisogna andare contro le superstizioni.
E comunque, tanto, ero protetta dal gri-gri, il braccialetto africano che mi ha ri-regalato la scorsa estate Rai, il nostro amico di famiglia senegalese. 
Nell'ufficio postale, peraltro, ho dovuto sopportare un'attesa di oltre un'ora per poter mandare il mio pacchetto, di quelli rigonfi ma di formato quadrato (ho scoperto solo ieri mattina che esistono anche in quella foggia, proprio per agevolare la spedizione dei cd), ma per fortuna ero in lieta compagnia.
Neanche a farlo apposta, infatti, mentre vergavo con la mia incerta grafia da medico l'indirizzo del Centro fotografico della Fotografia d'Autore di Bibbiena, è entrato Bibi Iacopini, ossia il "sindaco di piazza" nel mio portfolio, nonché mecenatesco organizzatore della mostra collettiva "Intanto" e del mercatino estivo del giovedì. Oltretutto, stavo usando proprio la penna che mi aveva regalato lui giorni prima proprio perché scrive benissimo e mi impedisce di calcare come una dannata.
Insomma, mentre aspettavamo il nostro turno, con gli sfoltisci code sempre più accartocciati (il mio sicuramente: quello di Bibi, probabilmente, sarà rimasto intonso come la pelle di un bebè: mai vista una persona più ordinata di lui), abbiamo chiacchierato e scambiato battute anche con gli altri malcapitati.
In un lampo, s'è fatta l'una e solo allora, compilando all'ultimo minuto il modulino delle raccomandate, ho potuto spedire il cd. L'impiegato mi ha pure rilasciato la copia dell'avvenuta consegna allo sportello. E speriamo bene. Perché, in effetti, ho un po' timore delle inefficienze nazionali... ma meglio buttarsi alle spalle ansie e pregiudizi e rilassarsi. 
Ieri sera, per dire, alle dieci e trenta ero già a letto: così sfinita non mi sono sentita (forse...) neanche dopo aver dato la tesi (... chi mi conosce sa che non così. Storia vecchissima, meno male!). 
Oggi, poi, sono andata a vedermi la mostra "La luce delle Marche", in cui ho potuto ammirare con entusiasmo e sincera venerazione un magnifico catalogo su Mario Giacomelli, in inglese.
Ho scoperto, durante la conversazione sulla fotografia che si teneva in contemporanea al mio giro solitario tra i pannelli dei diversi autori (tra cui anche il nocchiero Giovanni Marrozzini), che per le sue serie di più foto, quelle che adesso, di solito, vengono chiamate "portfolio", il grandissimo fotografo di Senigallia impiegava sempre più di un anno.
Sono rimasta basita soprattutto davanti alle ultime, quelle di poco precedenti alla sua scomparsa. 
Giacomelli era diventato ancora più concettuale e astratto di quanto già non avesse fatto con i suoi paesaggi solarizzati e i suoi pretini. Devo assolutamente cercarne in biblioteca l'opera omnia: voglio conoscerlo il più possibile.
La mia fotografia, certo, non ha niente a che fare con la sua, neanche come idee di fondo (quanto alla tecnica, beh, lasciamo stare), ma Giacomelli mi affascina completamente proprio per il senso di mistero che mi avvolge quando guardo quelle immagini così metafisiche, in cui la materia sembra già essersi dissolta.
Insomma: voglio continuare a leggere di fotografia e migliorare le mie basi, sia tecniche sia culturali.
Su questo Giovanni il nocchiero aveva perfettamente ragione: l'ha detto durante il workshop l'estate scorsa e immagino abbia continuato a farlo anche in tutti gli altri che gli si sono accumulati sulle spalle e nella (vulcanica) testa. Bisogna studiare: la fotografia richiede impegno, esattamente come la scrittura o qualsiasi altra forma di espressione più o meno artistica.
Il mio tutor Silvano Bicocchi ha commentato con queste parole il mio progetto impaginato sapientemente dalla mia amica grafica Maddalena Blandino: "E' un'opera concettuale che ha le radici nel giornalismo, inevitabilmente non poteva che essere così!". La mia cara amica e collega Simona Mengascini ha notato, analogamente, la presenza di un'impostazione giornalistica.
Ebbene: non ho mai pensato di fare un lavoro giornalistico, ma è chiaro che hanno ragione entrambi. Vengo dalla parola e dall'immagine inserita in contesti in cui la prima ha la meglio.
Nel frattempo, però, ho cominciato a domandarmi se non arriverò a eliminarle del tutto, le parole. 
In "Minime storie", infatti, queste ultime hanno un peso fondamentale, direi identico a quello delle fotografie. Non posso tuttavia escludere di sperimentare un domani il racconto fotografico tout court. 
Staremo a vedere. Anzi: come ho scritto alla fine della descrizione del progetto, "ad maiora!".
Vi lascio con le cartine realizzate da Madda, cui ho affidato il compito di aprire e chiudere il portfolio, nell'ipotesi remotissima che quel lavoro diventi una pubblicazione:




Non c'è che dire: non hanno proprio nulla a che fare con gli obbrobri che ho improvvisato io sul Paint...
E d'altra parte, a ciascuno il suo mestiere!
Con questo post si chiude ufficialmente il progetto per ITAca.
Minime Storie, inteso come blog, però, resterà aperto, a testimoniare le future avventure di foto, parole e quant'altro passerà davanti (e dietro!) la mia Nikon.
Grazie a chiunque sia passato di qua, volutamente o per sbaglio.
A presto!

lunedì 13 febbraio 2012

Della desaturazione e dei prodigi grafici di Maddalena Blandino

All'università mi sono laureata leggermente fuori corso, anche se avevo finito tutti gli esami in tempo.
Il fatto è che ci ho messo molto a preparare la tesi, perché l'ho scelta sperimentale e perché, nello studio, nonostante quel che si possa pensare in famiglia di me, sono una perfezionista (diciamo che faccio credere di essere una che arronza: mi piace fare scena).
Tutto questo per dire che anche stavolta sono in leggero ritardo, ma l'importante è che, davvero, tra poco ci siamo davvero.
Il merito è, lo dico apertamente, della mia amica Maddalena Blandino, la bravissima grafica di cui ho già tessuto le lodi nel precedente post. Qui però voglio fare di più: pubblico una delle foto del portfolio ora ricaricato interamente sul sito del Fotoclub, con la tinta desaturata che ha ottenuto con le sua manine (un po' screpolate, povera stellina!) fatate, come suggeritomi da Silvano Bicocchi per tutte e venti le storie.
La vedrete in fondo al testo, come al solito, ma qui aggiungo ancora dell'altro.
Madda ha costruito anche le cartine illustranti i luoghi in cui ho fotografato (Italia, Marche, Fermo-centro storico) e i punti precisi degli scatti.
In più, mi ha impaginato ogni singola storia, scegliendo un carattere veramente elegante (lo stesso che ha utilizzato per i biglietti da visita che mi ha preparato per la mostra collettiva "INTANTO") e adatto all'atmosfera vintage degli scritti.
Sono veramente soddisfatta del risultato finale e credo proprio che, se mai dovessi avere successo con il mio progetto, una metà del merito sarebbe sua.
Madda, se un domani faccio i soldi, prometto che facciamo fifty-fifty, ok? :-)
Eccovi San Savino non desaturato, come l'avevo trattato io prima del suo intervento, e dopo la desaturazione:


Ai pochi lettori che dovessero gradire di più il "giallone" del mio trattamento piuttosto che il metallico del secondo, spiego che di sicuro quest'ultimo rispecchia di più i colori naturali della statua e che, comunque, se Silvano mi ha esortato a desaturare, io (Madda al posto mio...) desaturo!
Per il resto, aggiungo che le foto che manderò singolarmente nel formato richiesto in caso di eventuale pubblicazione sono leggermente diverse da quelle attualmente visibili online perché... perché le avevo ritagliate, ma non sempre mi sono tenuta l'originale! Un vero genio, eh? Ma diciamo che è abbastanza normale per una principiante del fotoritocco come me...
E d'altra parte non si può sapere tutto ed è così stimolante imparare cose nuove.
Adesso, per esempio, sono capace anch'io di desaturare e so anche per quale motivo conviene farlo con determinate fotografie.
Perché? Chiedetemelo e ve lo dirò... a parte!
I segreti professionali non si divulgano così, ai quattro venti!
Professionali? E certo: Madda sul biglietto da visita che sono anche una fotografa.
Un piccolo, innocuo bluff ci può stare in un mondo di pescecani. O no?

sabato 4 febbraio 2012

In attesa della post-produzione... due parole su Cesare Zavattini e Paul Strand

Nevica, accidenti se nevica!
Il duomo è sotto una coltre alta almeno cinquanta centimetri. Via Mazzini sembra una pista da sci e piazza del Popolo una da pattinaggio.
Questa settimana avrei dovuto farmi dare una mano dalla mia amica Maddalena, una bravissima grafica, per la post-produzione delle mie venti minime storie. Lei non poteva, ma in ogni caso, con questa nevicata epocale, sarebbe stato quasi impossibile arrivare a casa sua. Confido nella mutevolezza del meteo e attendo. Anche se, non posso nasconderlo, non vedo l'ora di completare il lavoro e di spedirlo a Bibbiena.
Lo stand-by imposto dal tempo e dalla mia schiena, che mi ha costretta ieri sul divano per un bel pezzo del pomeriggio, mi hanno tuttavia spinta a leggere "Un paese" di Paul Strand e Cesare Zavattini... Silvano Bicocchi (il mio prezioso tutor) ha scritto che il mio portfolio glielo ricordava... ora, ammetto di essermene sentita assai orgogliosa, ma... io non lo conoscevo! 
Nei giorni scorsi, perciò, sono andata in biblioteca a chiederlo in prestito: fortunatamente mi è arrivato prima della tormenta di neve... sì, perché hanno dovuto richiederlo a Brindisi!
Oltre a essere bellissimo sfogliare un libro impaginato negli anni Cinquanta (è proprio l'edizione originale!), sono rimasta secca quando ho visto come era stato composto. Sotto ogni fotografia, o di lato, Zavattini aveva scritto delle didascalie di lunghezza varia, in cui dava voce direttamente ai soggetti raffigurati negli scatti del fotografo americano. In alcuni casi, si trattava di dettagli: un campo arato, una parete di muro grezzo ricoperto da recipienti per il latte...
Chi conosce il mio portfolio ufficiale (ma manca la post-produzione finale, mannaggia) sa che ho fatto qualcosa di simile... Chissà come mi sarei comportata se l'avessi scoperto prima!
Tutto sommato, è meglio che me ne sia accorta dopo, anche perché, comunque, un po' di differenze ci sono.
La prima, più evidente: le didascalie che ho scritto io sono brevissime, massimo 140 caratteri, come i tweet. In secondo luogo, le ho tutte titolate, cosa che non avevano fatto Zavattini-Strand. In terzo luogo, non tutte le storie che ho raccontato sono reali: più di qualcuna (non dico quale!) è frutto della mia fantasia...
Infine, ovviamente, io non sono Paul Strand! Anche se, come lui, ho un occhio "straniero" che mi ha permesso di raccontare quest'angolo di centro storico di Fermo senza i filtri che, molto probabilmente, avrebbe avuto una persona nativa del posto.
Sono rimasta colpita, peraltro, anche dalle parole che Zavattini ha scritto sul suo paese, Luzzara, scelto per puro caso per rappresentare l'Italia della provincia: credeva di conoscerlo bene, essendovi nato, e invece, anche grazie alle foto di Strand, ha scoperto che non ne sapeva nulla.
Sarei davvero fiera se un domani qualcuno dicesse qualcosa di analogo sul mio lavoro di foto-racconto. Perché possa accadere, però, devo andare avanti.
Ed è anche per questo motivo che voglio chiudere con il progetto per Itaca ed entrare ancora di più nel vivo del prossimo percorso, per ora solo immaginato nella mia testa (e nel mio cuore).
Non aggiungo altro... preferisco instillare un sentimento di suspence in chi passerà di qui...
Dimenticavo: ho cominciato a leggere anche "Un paese, vent'anni dopo", scritto da Zavattini, ma fotografato da Gianni Berengo Gardin, un altro grande del fotogiornalismo italiano. Da quel che ho visto, però, le atmosfere che restituiscono gli scatti di quest'ultimo sono molto diverse da quelle di Strand. In teoria, dovrei sentirle più mie, visto che risalgono agli anni della mia infanzia. Eppure, non so, credo di essere impastata di una nostalgia più antica, anche se non ne ho ancora chiaro il perché.
Vi lascio con le foto della neve, vista dalla mia finestra e, stamattina, dal duomo:

















La Bice (ho letto su "Un paese") era un barcone con cui un po' di luzzaresi raggiunsero, un giorno d'estate, Venezia... Beh, anche questa è una strana coincidenza. Nino, invece, era un nome molto diffuso in altre epoche. Oggi, forse, sopravvive solo in latitudini più meridionali di Fermo. Oppure no, chissà...