E' fatta: ieri mattina ho spedito il cd con il lavoro definitivo.
Diciamo che ho scelto proprio la giornata più adatta, di quelle che non vorresti mai che comparissero sul calendario (era venerdì 17), ma l'ho fatto quasi apposta perché bisogna andare contro le superstizioni.
E comunque, tanto, ero protetta dal gri-gri, il braccialetto africano che mi ha ri-regalato la scorsa estate Rai, il nostro amico di famiglia senegalese.
Nell'ufficio postale, peraltro, ho dovuto sopportare un'attesa di oltre un'ora per poter mandare il mio pacchetto, di quelli rigonfi ma di formato quadrato (ho scoperto solo ieri mattina che esistono anche in quella foggia, proprio per agevolare la spedizione dei cd), ma per fortuna ero in lieta compagnia.
Neanche a farlo apposta, infatti, mentre vergavo con la mia incerta grafia da medico l'indirizzo del Centro fotografico della Fotografia d'Autore di Bibbiena, è entrato Bibi Iacopini, ossia il "sindaco di piazza" nel mio portfolio, nonché mecenatesco organizzatore della mostra collettiva "Intanto" e del mercatino estivo del giovedì. Oltretutto, stavo usando proprio la penna che mi aveva regalato lui giorni prima proprio perché scrive benissimo e mi impedisce di calcare come una dannata.
Insomma, mentre aspettavamo il nostro turno, con gli sfoltisci code sempre più accartocciati (il mio sicuramente: quello di Bibi, probabilmente, sarà rimasto intonso come la pelle di un bebè: mai vista una persona più ordinata di lui), abbiamo chiacchierato e scambiato battute anche con gli altri malcapitati.
In un lampo, s'è fatta l'una e solo allora, compilando all'ultimo minuto il modulino delle raccomandate, ho potuto spedire il cd. L'impiegato mi ha pure rilasciato la copia dell'avvenuta consegna allo sportello. E speriamo bene. Perché, in effetti, ho un po' timore delle inefficienze nazionali... ma meglio buttarsi alle spalle ansie e pregiudizi e rilassarsi.
Ieri sera, per dire, alle dieci e trenta ero già a letto: così sfinita non mi sono sentita (forse...) neanche dopo aver dato la tesi (... chi mi conosce sa che non così. Storia vecchissima, meno male!).
Oggi, poi, sono andata a vedermi la mostra "La luce delle Marche", in cui ho potuto ammirare con entusiasmo e sincera venerazione un magnifico catalogo su Mario Giacomelli, in inglese.
Ho scoperto, durante la conversazione sulla fotografia che si teneva in contemporanea al mio giro solitario tra i pannelli dei diversi autori (tra cui anche il nocchiero Giovanni Marrozzini), che per le sue serie di più foto, quelle che adesso, di solito, vengono chiamate "portfolio", il grandissimo fotografo di Senigallia impiegava sempre più di un anno.
Sono rimasta basita soprattutto davanti alle ultime, quelle di poco precedenti alla sua scomparsa.
Giacomelli era diventato ancora più concettuale e astratto di quanto già non avesse fatto con i suoi paesaggi solarizzati e i suoi pretini. Devo assolutamente cercarne in biblioteca l'opera omnia: voglio conoscerlo il più possibile.
La mia fotografia, certo, non ha niente a che fare con la sua, neanche come idee di fondo (quanto alla tecnica, beh, lasciamo stare), ma Giacomelli mi affascina completamente proprio per il senso di mistero che mi avvolge quando guardo quelle immagini così metafisiche, in cui la materia sembra già essersi dissolta.
Insomma: voglio continuare a leggere di fotografia e migliorare le mie basi, sia tecniche sia culturali.
Su questo Giovanni il nocchiero aveva perfettamente ragione: l'ha detto durante il workshop l'estate scorsa e immagino abbia continuato a farlo anche in tutti gli altri che gli si sono accumulati sulle spalle e nella (vulcanica) testa. Bisogna studiare: la fotografia richiede impegno, esattamente come la scrittura o qualsiasi altra forma di espressione più o meno artistica.
Il mio tutor Silvano Bicocchi ha commentato con queste parole il mio progetto impaginato sapientemente dalla mia amica grafica Maddalena Blandino: "E' un'opera concettuale che ha le radici nel giornalismo, inevitabilmente non poteva che essere così!". La mia cara amica e collega Simona Mengascini ha notato, analogamente, la presenza di un'impostazione giornalistica.
Ebbene: non ho mai pensato di fare un lavoro giornalistico, ma è chiaro che hanno ragione entrambi. Vengo dalla parola e dall'immagine inserita in contesti in cui la prima ha la meglio.
Nel frattempo, però, ho cominciato a domandarmi se non arriverò a eliminarle del tutto, le parole.
In "Minime storie", infatti, queste ultime hanno un peso fondamentale, direi identico a quello delle fotografie. Non posso tuttavia escludere di sperimentare un domani il racconto fotografico tout court.
Staremo a vedere. Anzi: come ho scritto alla fine della descrizione del progetto, "ad maiora!".
Vi lascio con le cartine realizzate da Madda, cui ho affidato il compito di aprire e chiudere il portfolio, nell'ipotesi remotissima che quel lavoro diventi una pubblicazione:
Non c'è che dire: non hanno proprio nulla a che fare con gli obbrobri che ho improvvisato io sul Paint...
E d'altra parte, a ciascuno il suo mestiere!
Con questo post si chiude ufficialmente il progetto per ITAca.
Minime Storie, inteso come blog, però, resterà aperto, a testimoniare le future avventure di foto, parole e quant'altro passerà davanti (e dietro!) la mia Nikon.
Minime Storie, inteso come blog, però, resterà aperto, a testimoniare le future avventure di foto, parole e quant'altro passerà davanti (e dietro!) la mia Nikon.
Grazie a chiunque sia passato di qua, volutamente o per sbaglio.
A presto!
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