Nevica, accidenti se nevica!
Il duomo è sotto una coltre alta almeno cinquanta centimetri. Via Mazzini sembra una pista da sci e piazza del Popolo una da pattinaggio.
Questa settimana avrei dovuto farmi dare una mano dalla mia amica Maddalena, una bravissima grafica, per la post-produzione delle mie venti minime storie. Lei non poteva, ma in ogni caso, con questa nevicata epocale, sarebbe stato quasi impossibile arrivare a casa sua. Confido nella mutevolezza del meteo e attendo. Anche se, non posso nasconderlo, non vedo l'ora di completare il lavoro e di spedirlo a Bibbiena.
Lo stand-by imposto dal tempo e dalla mia schiena, che mi ha costretta ieri sul divano per un bel pezzo del pomeriggio, mi hanno tuttavia spinta a leggere "Un paese" di Paul Strand e Cesare Zavattini... Silvano Bicocchi (il mio prezioso tutor) ha scritto che il mio portfolio glielo ricordava... ora, ammetto di essermene sentita assai orgogliosa, ma... io non lo conoscevo!
Nei giorni scorsi, perciò, sono andata in biblioteca a chiederlo in prestito: fortunatamente mi è arrivato prima della tormenta di neve... sì, perché hanno dovuto richiederlo a Brindisi!
Oltre a essere bellissimo sfogliare un libro impaginato negli anni Cinquanta (è proprio l'edizione originale!), sono rimasta secca quando ho visto come era stato composto. Sotto ogni fotografia, o di lato, Zavattini aveva scritto delle didascalie di lunghezza varia, in cui dava voce direttamente ai soggetti raffigurati negli scatti del fotografo americano. In alcuni casi, si trattava di dettagli: un campo arato, una parete di muro grezzo ricoperto da recipienti per il latte...
Oltre a essere bellissimo sfogliare un libro impaginato negli anni Cinquanta (è proprio l'edizione originale!), sono rimasta secca quando ho visto come era stato composto. Sotto ogni fotografia, o di lato, Zavattini aveva scritto delle didascalie di lunghezza varia, in cui dava voce direttamente ai soggetti raffigurati negli scatti del fotografo americano. In alcuni casi, si trattava di dettagli: un campo arato, una parete di muro grezzo ricoperto da recipienti per il latte...
Chi conosce il mio portfolio ufficiale (ma manca la post-produzione finale, mannaggia) sa che ho fatto qualcosa di simile... Chissà come mi sarei comportata se l'avessi scoperto prima!
Tutto sommato, è meglio che me ne sia accorta dopo, anche perché, comunque, un po' di differenze ci sono.
La prima, più evidente: le didascalie che ho scritto io sono brevissime, massimo 140 caratteri, come i tweet. In secondo luogo, le ho tutte titolate, cosa che non avevano fatto Zavattini-Strand. In terzo luogo, non tutte le storie che ho raccontato sono reali: più di qualcuna (non dico quale!) è frutto della mia fantasia...
Infine, ovviamente, io non sono Paul Strand! Anche se, come lui, ho un occhio "straniero" che mi ha permesso di raccontare quest'angolo di centro storico di Fermo senza i filtri che, molto probabilmente, avrebbe avuto una persona nativa del posto.
Sono rimasta colpita, peraltro, anche dalle parole che Zavattini ha scritto sul suo paese, Luzzara, scelto per puro caso per rappresentare l'Italia della provincia: credeva di conoscerlo bene, essendovi nato, e invece, anche grazie alle foto di Strand, ha scoperto che non ne sapeva nulla.
Sarei davvero fiera se un domani qualcuno dicesse qualcosa di analogo sul mio lavoro di foto-racconto. Perché possa accadere, però, devo andare avanti.
Ed è anche per questo motivo che voglio chiudere con il progetto per Itaca ed entrare ancora di più nel vivo del prossimo percorso, per ora solo immaginato nella mia testa (e nel mio cuore).
Non aggiungo altro... preferisco instillare un sentimento di suspence in chi passerà di qui...
Dimenticavo: ho cominciato a leggere anche "Un paese, vent'anni dopo", scritto da Zavattini, ma fotografato da Gianni Berengo Gardin, un altro grande del fotogiornalismo italiano. Da quel che ho visto, però, le atmosfere che restituiscono gli scatti di quest'ultimo sono molto diverse da quelle di Strand. In teoria, dovrei sentirle più mie, visto che risalgono agli anni della mia infanzia. Eppure, non so, credo di essere impastata di una nostalgia più antica, anche se non ne ho ancora chiaro il perché.
Vi lascio con le foto della neve, vista dalla mia finestra e, stamattina, dal duomo:
La Bice (ho letto su "Un paese") era un barcone con cui un po' di luzzaresi raggiunsero, un giorno d'estate, Venezia... Beh, anche questa è una strana coincidenza. Nino, invece, era un nome molto diffuso in altre epoche. Oggi, forse, sopravvive solo in latitudini più meridionali di Fermo. Oppure no, chissà...
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