Ed eccomi arrivata alla fine del percorso. O almeno, del mio diario di bordo nato su stimolo di Giovanni Marrozzini e del suo progetto Itaca, anch'esso giunto al rush finale.
Tutto quello che seguirà dopo l'invio dei file per la selezione prevista dal Fotoclub (che ha sede a Bibbiena, in Toscana), sarà inquadrato in un'altra maniera che per adesso non mi è ancora del tutto chiara.
So di esserci arrivata tardi, sempre che si possa giudicare con questo avverbio il fatto di aver scelto di studiare, frequentare la scuola di giornalismo e tutto quello che è venuto dopo. So anche che quando si lavora in totale libertà, ci si sente bene (benissimo), ma che normalmente non è possibile farlo.
E tuttavia, una cosa è certa: voglio continuare a fotografare e a scrivere. Sono le due attività in cui mi riconosco di più, indipendentemente dall'utilizzo pratico che ne potrei eventualmente ricavare.
Fatta questa premessa (e promessa!), dedico questo post a Luigi Crocenzi, involontario spirito-guida delle mie Minime Storie, concepite, forse, già dal primo giorno in cui ho messo gli occhi sul paesaggio che osservo dalle finestre di casa mia. O sarebbe meglio dire, di quella che un tempo era la casa di questo importante protagonista della fotografia italiana del Novecento.
Crocenzi è passato alla storia più per l'archivio di oltre tremila foto, oggi ospitato a Spilimbergo. Ma era anch'egli un grande fotografo, come testimoniano i suoi lavori per il Politecnico, ai tempi del suo sodalizio con Elio Vittorini. Non solo. Crocenzi è stato un fine intellettuale, dotato di una grande penna.
Quando ho letto i suoi testi del foto-reportage "Occhio su Milano", mi sono sinceramente emozionata.
Ancora di più ho sentito quanto "fosse scritto" che dovessi realizzare le mie prime venti Minime Storie (quante sono quelle che parteciperanno alla selezione nazionale) quando ho scoperto ulteriori, stranissime, coincidenze che mi legano al vero padrone di casa mia (non me ne vogliano gli eredi: ma nell'atrio e per le scale di marmo del bellissimo palazzo in cui vivo, aleggia ancora l'anima di "Gigino", come era chiamato familiarmente).
Anche Crocenzi ha lasciato Milano abbastanza presto, benché abbia continuato a fare spola tra lì e Fermo per molti anni ancora. Con le dovute differenze, anch'io continuo a tornare spesso nella capitale del Nord, cui mi lega ancora un lavoro nonché le solide (ebbene sì, lo dichiaro apertamente) basi della mia formazione giornalistica.
Nei suoi periodi su al Nord, non so bene in quali anni, Crocenzi ha vissuto in via General Govone, come documentato da uno scritto ospitato in un bel catalogo che gli è stato dedicato dal Centro di ricerca e archiviazione della fotografia (in sigla, Craf).
In quella strada, ho passato moltissime giornate e anche varie nottate: vi abita una coppia di miei carissimi amici, in un certo senso i miei "genitori" (solo morali!) negli anni della mia permanenza milanese.
Uno dei foto-racconti di Crocenzi è dedicato alla processione, più in generale alla religiosità popolare. Con una sovrapposizione tra due scatti catturati (con la mia vecchia Pentax P30N) durante la processione del Venerdì Santo a Chieti, la mia città natale, ho vinto il mini-concorso interno al circolo fotografico che ho frequentato al liceo. Mi ricordo persino come l'avevo chiamato: "Miserere mei deum", riprendendo un verso del coro maschile accompagnato da violini e fiati, che scorta il cammino del Cristo Morto per i vicoli del centro fino al ritorno in duomo.
Solo domenica scorsa, uscendo su via Mazzini con mia madre, venuta a trovarmi con un mucchio di derrate, come si conviene a un'alacre famiglia del Sud, ho assistito a una mini processione in onore della Madonna del Pianto e negli scatti che ho impresso sulla mia Nikon, ho visto sguardi tragici, antichi, espressione di una devozione rassegnata, la stessa che aveva notato Crocenzi molti anni prima di me e che da sempre ossessiona la mia formazione.
Da bambina, quando vedevo gli incappucciati, piangevo di paura. Eppure, quella processione ancestrale mi affascina ancora adesso e forse adesso, dopo aver conosciuto molto da vicino il lavoro dell'illustre fermano, comincio a capirne il perché.
In definitiva, per farla breve, sono nata "vintage" e non lo sapevo. Mi ci ha fatto riflettere anche un mio carissimo amico, bravo (e silenzioso) fotografo.
Nel mio modo di guardare il mondo, di certo a colori, c'è una nostalgia per qualcosa che non c'è già più. Da sempre. E, forse, per sempre. Benché non possa essere certa che, adesso che ho messo per bene a fuoco che cosa colpisce i miei occhi, non finisca per cambiare prospettiva.
Staremo a vedere.
Vi voglio lasciare con un ricordo di Luigi Crocenzi scritto da Renzo Renzi, riprodotto con la sua grafia sul catalogo già citato:
"Luigi Crocenzi l'ho incontrato quando nacque alla notorietà; l'ho trovato quando è morto.
Ci conoscemmo al Festival di Venezia, ma lo seguivo già sulle pagine de "Il Politecnico" di Vittorini.
Anni dopo lo ritrovai già rinserrato a Fermo, quando mi regalò, si può dire, alcune stanze del suo bel palazzo sulla via Mazzini, che tuttora frequento. Appartato, forse perché stanco di successi pionieristici (o prematuramente appagato), Luigi mostrava ora la sua anima profondamente romantica, dopo quella neorealistica. Lasciava che nel palazzo tutto cadesse, avvolto dai rampicanti sopra le rovine.
Meglio, molto meglio delle successive cementificazioni. E intanto faceva regali magnifici agli amici, alle femmine, dissipando le sue fortune. Poi, una sera, eravamo in casa di Romano Folicaldi (queste vicende appartengono alla storia della fotografia italiana, come si vede), Luigi sentì un piccolo dolore nel petto. Bastava che si mettesse a letto, dopo avere bevuto una limonata calda.
Però, il mattino dopo, non rispondeva alle telefonate, non apriva la porta, lui che viveva ormai solo. Cercammo una chiave, io corsi per le stanze e lo trovai, ahimè!, ancora nel suo letto, le coperte rimboccate, gli occhi chiusi, sereno. Non si era mosso. Il bicchiere della limonata stava sul comodino. Tanto discreto com'era, non aveva turbato nemmeno il proprio ultimo giaciglio.
Poi si vide un armadio ricolmo di macchine fotografiche fino agli ultimi modelli, e di obbiettivi i più sofisticati. Erano i suoi occhi, conservati come in un diligente museo della tecnica. Luigi, così, aveva continuato, per un lungo periodo, ad immaginarsi di guardare le cose del mondo con occhi innumerevoli, tanti occhi e altrettante lunghezze focali".
Di seguito alcuni scatti fatti nella mia cucina, una volta sua, come il resto del palazzo (abitava nel piano sottostante al mio, ma immagino che quassù ci sarà salito: essendo il punto più alto dello stabile, è il luogo ideale per ammirare l'incredibile distesa di colline dal mare alle montagne):
Nell'ultima si intravede un pezzetto del mio piede e la tovaglia di plastica, appartenuta a mia nonna, come molti mobili oggi ospitati in questo bellissimo palazzo.
A quest'ultimo proposito, date un'occhiata anche alla foto sotto:
E' l'androne del palazzo Crocenzi, come appare nelle tarde mattinate di questo tiepido inverno, quando il sole lo bacia con delicatezza.
Chissà quante volte l'avrà fotografato il padrone di casa e quante gli altri fotografi che sono entrati qui dentro.
Finisco con un grazie, generico. A che cosa? Al caso, agli incontri e, sì, al futuro. Qualunque esso sia.
bellissimo quell'androne
RispondiEliminame ne ricorda uno simile che vidi nella mia primissima infanzia, a torno, sul lago di como. quindi circa 60 anni fa
quanto al tuo percorso: ora avrà un futuro. ma intanto è stato un grande presente
passato, presente, futuro tutti SONO (emanuele severino). ne parla nella prima parte qui: http://polser.files.wordpress.com/2012/01/eseverinomendrisio19gen12.mp3
bonne chance
Carissimo, grazie.
RispondiEliminaSu D de "La Repubblica" Galimberti cita un libro di Emanuele Severino. Ieri ho cominciato a sentire la tua lezione, ma mi occorreva più tempo (sto preparando la prossima intervista per la Stannah). Conto di riprovarci presto, una volta che avrò finito con questa avventura... in attesa che si trasformi in un nuovo presente!
buone ore (qui vento e pioggia, il peggio di Fermo)
ACICAH
emanuele severino è il mio accompagnatore verso la morte. è inutile non pensarci. occorre pensarci: 10 anni ancora per la genetica di mio padre, 20 per quella di mia madre, 30 per quella di mio nonno.
RispondiEliminase fosse per gli zii sarei già morto.
l'audio di mendrisio è importantissimo, perchè è una mappa del suo pensiero: tenendo conto che lui è del 1929 e che ha scritto il primo libro nel 1956 (e che quindi lo aveva concepito almeno dal 1952) si tratta di 60 anni di analisi filosofica del tempo vissuto e di quello storico.
ogni tanto andiamo dalla carla e da sua sorella anna, a casa loro, e ci mettimao all'ascolto di qualcune dellsue lezioni che ho "salvato".
questa è sulla FESTA. e mi permetto di consigliarte ancora prima della lezione di mendrisio:
http://antemp.wordpress.com/2012/02/01/emanuele-severino-audio-sul-comandamento-del-ricordati-di-santificare-le-feste/
affettuosi saluti e buona giornata
Grazie, Paolo, salvo il file e lo tengo per i prossimi giorni di vuoto... che arriveranno, lo so già.
RispondiEliminae tu non pensarci troppo alla morte. bisogna sapere che c'è, certo, ma non farsene più di tanto ossessionare.
a presto, saluti affettuosi anche a te
ACICAH